La poesia e l’arte della pallanuoto
Ma voi cosa vorreste essere? o meglio, cosa preferireste essere se vi dessi una scelta tra due opzioni? e non venite a menarla con il fatto che se le opzioni sono due non è una vera scelta, che ce ne vorrebbero tre e bla e bla e bla.. perché stiamo facendo uno di quei giochini no? di quelli che facevamo da bambini e che onestamente facciamo anche ora, solo che ora usiamo parole orribili tipo “inciucio”, “spread” o “amore”.. facciamo quindi che ora vi chiedo: ma voi, preferireste essere un poeta o un giocatore di pallanuoto?
Non vi darò una risposta.. non c’è una risposta, ma voi chiedetevelo mentre leggete i lavori dei settantaquattro (sì avete capito bene settantaquattro, 7 e 4, come un Jumbo meno un 7) giovani poeti della raccolta “Dear World & Everyone in it” appena uscita in Gran Bretagna per Bloodaxe Books, uno degli editori di poesia più interessanti del regno e che se ne esce ora con questa nuova antologia che segue di quattro anni “Voice Recognition” del 2009.
Nathan Hamilton, poeta ed editor di questa raccolta, non ha dubbi: essere un giocatore di pallanuoto! essere un poeta è cosa troppo vaga e ciò che ne ottieni in cambio è troppo poco; editare poi un’antologia di giovani poeti?! ..naaaahhh non se ne parla neppure, vuoi mettere con il godimento narcisistico di andare in giro con due pettorali da urlo? vuoi mettere la faccia del vostro interlocutore che vi guarda con ammirazione e con l’occhio puntato sui suddetti pettorali invece che la solita faccia sorpresa ed un po’ dispiaciuta che la gente sfodera quando voi rispondete “Sono un poeta”.
Anche perché siamo onesti, loro (sì “loro”.. sono intorno a noi, sono uno di voi..) vi hanno chiesto “Che lavoro fate?”, non vi hanno chiesto “Che cosa siete?”. Vi sembra che il vostro nuovo vicino di casa sia interessato a sapere che cosa siete? Lui vuole sapere se avrete i soldi per pagare la prossima rata del condominio e fidatevi, dire che siete un poeta lo getterà nell’angoscia più assoluta dalla quale in pochi si sono ripresi: i vicini di mio padre mai.. ecco perché io dico di essere un neurochirurgo!
Ma dei vicini di casa non frega niente a nessuno direte voi.. ok, bene, allora parliamo delle feste.. perché lo so, nella vostra mente ballerina voi vi immaginate di essere ad una festa, di avere in mano un Jack Daniel’s (i poeti bevono bourbon.. se preferite cocktail sofisticati allora dovete fare gli scrittori e se bevete solo birra allora tornatevene immediatamente da quel tugurio da dove siete usciti a scrivere un’altra puntata del vostro inutile blog!) ed immaginate una formosa ragazza (o un dotato ragazzo.. perché gli artisti sono tutti un po’ froci si sa!) che vi chiede “Siete un poeta vero!?” (altra nota, ai poeti si dà del voi, almeno fino al terzo Jack Daniel’s).. ecco, finalmente potrete rispondere “Sì, sono un poeta..”.
Ma vi siete mai chiesti.. e adesso? perché a quel punto l’interesse per voi scemerà in un batter di puttana e vi chiederanno di presentar loro quel giovane attore di cui tutti parlano e voi annasperete nel panico cercando di incrociare il più rapidamente possibile lo sguardo di quel vostro “amico” sceneggiatore (che come tutti gli sceneggiatori sorseggia vino di qualità mediocre) che forse lo conosce perché ha lavorato a quel nuovo film e bla e bla e bla..
Fidatevi, é molto meglio avere due pettorali da urlo!
Ma Nathan Hamilton è uno in gamba, la questione dei pettorali ha smesso di porsela da tempo (sì.. come no..) ed è riuscito a mettere insieme quella che se non è una ristretta selezione del meglio che il Regno Unito produce in termini di giovani poeti, sicuramente ce ne dà un’ampia panoramica. E non è questione di scarsa selettività, ma desiderio di raggiungere la maggior parte delle voci esistenti, anche al di là degli asfittici “circoli accademici” che fanno sempre gli stessi nomi e che non riescono a parlare di poesia senza parlare di epistemologia sintattica, di palingenesi del verso, di atomizzazione del significante e bla e bla e bla: qui si parla di poeti e di pettorali!
La selezione dei nomi è il risultato di un sistema semplice che ha portato alla compilazione di un’antologia “collaborativa”: ad un primo gruppo di poeti selezionati è stato chiesto di presentare loro versi e di fornire anche una rosa di altri tre nomi di colleghi, scelta da essere fatta di “pancia”, in maniera del tutto istintiva. A questi altri nomi suggeriti dalla prima rosa di selezionati è stata chiesta la stessa cosa, mentre al terzo gruppo che ne derivava è stato chiesto solo do presentare il loro lavoro.
Questa la teoria.. in pratica l’editore ci ha poi infilato lo zampino cercando di mettere un po’ d’ordine nel caos che ne era venuto fuori, ma il risultato è un’eterogeneità viscerale e non glaciale, un’eterogeneità che non è solo il risultato del giudizio del “compilatore” dell’antologia e delle scelte di una elite, ma è il risultato del giudizio di una coscienza poetica collettiva dei giovani poeti britannici.. non è eccitante tutto questo!?
Poi certo non bastava essere giovani poeti e neppure essere bravi poeti, perché come fa notare Nathan Hamilton ai detrattori di questo suo metodo: molti giovani poeti scrivono vecchia poesia!
E quindi, dopo tutte queste parole, dopo tutto questo mio delirante entusiasmo per la coscienza collettiva dei giovani artisti.. non è forse comunque meglio fare i giocatori di pallanuoto.. perché i giovani poeti invecchiano, perché invece i giocatori di pallanuoto saranno ricordati anche tra cento anni da tanti altri giocatori di pallanuoto e dai loro fans che, siamo onesti, sono molti di più che i poeti..
È vero, ma non è una questione di numeri, perché la poesia sarà ricordata nel linguaggio. E con questo, Poesia batte Pallanuoto 2 a 1!