La Raccolta del Sale su Alleo – Marzo 2015
Una recensione de “La Raccolta del Sale” su Alleo.it a firma Fabio Michieli.. personalmente, se devo essere sincero, il pezzo che più di tutti è stato in grado di leggere dentro le mie parole.. un grazie infinito e di cuore!
Leggi qui l’articolo originale.
l sale come cura per il tempo: sia quello passato, sia quello prossimo; perché il sale cicatrizza, il sale condanna, ma pure conserva ciò che è bene portare con sé nel futuro, o quanto meno nel presente quotidiano. Sicché è l’esperienza di vita a essere messa sotto sale e proiettata nel domani. E raccogliere il sale è un’arte, come lo è la poesia (senza retorica). Colpisce il centro la poesia di Alessandro Brusa, perché il suo centro è la vita. Detto questo, la sua poesia è diretta nelle parole (quelle parole che “lo vivono”, come lui stesso afferma) ma richiede, giustamente, coerentemente, obbligatoriamente, un certo sforzo, un certo impegno da parte del lettore: perché lo richiede l’etica stessa del suo dettato («Ho tramutato i miei passi in orme di gigante // l’ho fatto con l’ignoranza spicciola del contadino / che all’estate chiede pioggia a suo piacimento; // mi sono fatto sottile negli anni / con lentezza e calando ad una maglia più fine / mi sono stretto al collo / in un momento solo, dopo il tramonto; // ma ora sono qui ed in questo mondo di strade / non so con che voce dirti come mi chiamo, / se la fragilità è un legno che non conosco.»; Ho tramutato i miei passi in orme di gigante, p. 16). Bandite le forme chiuse, il verso canonico: il discorso è spezzettato, frammentario e ricostruito a tappe. Il verso è a caduta e non sono rari i casi in cui si danno per scontate alcune cose e ci si permette di cominciare con due punti a inizio del verso. Un uso della punteggiatura che non guarda a formule da trita avanguardia (quella che ogni tanto dà qualche calcio nel vuoto), ma partecipa della costruzione del discorso, indicando pause che non sono solo pause sintattiche: sono pause del pensiero; sono il modo più consono per indicare nella pagina che tutto ciò che è scritto e che ora si legge è la conseguenza di un’esperienza che non intende celare la rabbia, il dolore, la gioia, l’amore, il desiderio, la paura. Alessandro Brusa non intende nascondere il corpo dietro le parole; vuole, semmai, costruire il corpo con le parole (quelle che “lo vivono”). Sicché la massiccia presenza di sinestesie andrà intesa sia sul piano linguistico, sia sul piano psicologico: gli arditi accostamenti di parole abitualmente non avvicinabili – se non altro nel parlato quotidiano – sono il pendant del suo modo di percepire la propria esperienza e di indagarla («Ho rinunciato alla parola / e mi sono chiuso in questa piccola sufficienza / fatta di spazi leggeri / e di dialoghi finiti con l’oro che non sono // ho smesso di sputare sassi / e mi sono annoiato di me stesso, / di un’altra solitudine lasciata al caso.»; Ho rinunciato alla parola, p. 22). È così che si manifesta un io poetico presente in quasi ogni poesia di La raccolta del sale, ma, attenzione, non si faccia l’errore di intenderlo onnipotente in senso narrativo: perché l’io qui non domina la scena, né la controlla. L’io è il protagonista di una crescita, di un percorso scandito in cinque parti dialoganti tra di loro che sfiorano il romanzo di formazione (Alessandro Brusa, è doveroso ricordarlo, esordì con un romanzo) senza, però, rischiare di insabbiarsi nel pantano di una narrazione non richiesta. Nulla di tutto ciò («Vengo da qui / da non troppo lontano, / da dove tutto ebbe inizio // e solo ora torno, / per una piccola necessità / di passaggio, / piovendo con fretta / su di un altro mondo in attesa»; Vengo di qui, p. 85). La sua, semmai, è una maniera di confessarsi che appartiene più al passato; forse ai poeti romantici inglesi, a Percy Bisshe Shelley che – quasi involontario Virgilio – ci illustra la prima sessione della raccolta, Nel silenzio del suo Sangue. Ed eccolo il sangue, il primo degli umori del corpo che incontriamo in queste poesie. Un corpo osservato tanto dall’esterno quanto auscultato dall’interno. E anche qui è lo scarto deciso e preciso, rispetto a molta di quella poesia che negli ultimi anni ha fatto del corpo il centro del discorso poetico, a fare la differenza. Un corpo smembrato e ricostruito che lascia ben visibili tutte le cicatrici seccate e curate col sale della vita. Esposte e non nascoste. Nessuna operazione di ricostruzione plastica è messa in atto, e ciò, e già mi ripeto, spiega il non ricorrere a forme chiuse, metri rassicuranti e riconoscibili. La raccolta del sale è il primo capitolo di una poetica del corpo che si è ora davvero iniziato a scrivere.
Fabio Michieli