asSaggi critici
[intro]Silvia Guzzi e Fabio Michieli su “La raccolta del sale”[/intro]
Il sale come cura per il tempo: sia quello passato, sia quello prossimo; perché il sale cicatrizza, il sale condanna, ma pure conserva ciò che è bene portare con sé nel futuro, o quanto meno nel presente quotidiano. Sicché è l’esperienza di vita a essere messa sotto sale e proiettata nel domani. E raccogliere il sale è un’arte, come lo è la poesia (senza retorica).
Colpisce il centro la poesia di Alessandro Brusa, perché il suo centro è la vita. Detto questo, la sua poesia è diretta nelle parole (quelle parole che “lo vivono”, come lui stesso afferma) ma richiede, giustamente, coerentemente, obbligatoriamente, un certo sforzo, un certo impegno da parte del lettore: perché lo richiede l’etica stessa del suo dettato («Ho tramutato i miei passi in orme di gigante // l’ho fatto con l’ignoranza spicciola del contadino / che all’estate chiede pioggia a suo piacimento; // mi sono fatto sottile negli anni / con lentezza e calando ad una maglia più fine / mi sono stretto al collo / in un momento solo, dopo il tramonto; // ma ora sono qui ed in questo mondo di strade / non so con che voce dirti come mi chiamo, / se la fragilità è un legno che non conosco.»; Ho tramutato i miei passi in orme di gigante, p.16).
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