Alessandro Brusa

D’uso io annuso l’aria che tira
perchè sono l’emozione grezza
che non capirai mai
ed è per me che avrai
salva la vita

 

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Alessandro Brusa
  -  Senza categoria   -  Una Storia di sangue

Stephen S. Mills è un poeta che conosco bene, Stephen è un poeta che ho tradotto in altre occasioni.. e, mai come ora, mi sembra necessario tradurre e pubblicare anche questo suo testo, tratto dal suo primo libro di poesia “He do the gay man in different voices” (Sibling Rivalry Press – 2012), vincitore del Lambda Literary Award nello stesso anno.

 

UNA STORIA DI SANGUE

 

Un altro ragazzo gay picchiato a Miami questa settimana, quasi

massacrato mentre rientrava da un locale. Il pugno dell’uomo

ha colpito il suo volto pieno di brillantini, facendolo roteare come la mia faccia

 

glitterata quando ballo ogni fine settimana nel locale gay, aspettando la mia ombra,

aspettando che il mio messaggero di morte salti fuori urlando

frocio ancora e ancora fino a che non diventa tutto confuso, neppure

 

una parola reale, a dire un fascio di miccette legate assieme ed usate

come combustibile. I giornali chiederanno: cosa avrà fatto questo ragazzo gay 

per meritare una tale violenza? Perché qualcosa deve avere fatto,

 

e perfino io, in tutta la mia frociaggine ed il mio liberalismo, mi chiederó se

avrà approcciato quel tipo con ubriaca molestia, o se l’avrà provocato

scheccando, spingendo tutti i bottoni degli impietriti

 

maschi omosessuali, che conoscono solamente il potere dei pugni, dei bastoni,

delle pietre, neppure delle pistole, se non usate a rovescio, canna

verso la faccia. Il pericolo scorre nel nostro sangue gay. Sangue che mi fa scrivere

 

lettere, profumate alla colonia, a un tipo in galera, un tipo che ha picchiato

una coppia di anziani, rotto i loro crani non una,

ma tre volte. Un uomo dalle spalle larghe, braccia muscolose,

 

pettorali definiti. Un uomo che me lo fa diventare duro perché potrebbe uccidermi,

potrebbe prendermi la vita e porvi fine. È lo stesso sangue

che portò Matthew in quel camioncino con quei due ragazzi, lo stesso sangue che

 

più tardi sarebbe scorso sul suo viso mentre i coyote ululavano in lontananza,

ed è il sangue di Capote nella cella di Perry, sangue freddo

che ha visto uomini portati via con i cellulari, mani a coprire le facce,

 

uomini che hanno sentito il colpo dei manganelli in pancia o corde

intorno al collo. È il sangue nelle mie vene che mi fa

scrivere frocio sul braccio con l’inchiostro fluorescente ed uscire per le strade in cerca

 

di uomini che non riescono a controllare la loro attrazione per i ragazzi

i cui corpi urlano: mi vuoi uccidere, non mi sbaglio.

Ragazzi senza paura con i brillantini nel loro sangue.

 

 

A HISTORY OF BLOOD

 

Another gay boy got bashed in Miami this week, nearly beaten

to death on his way home from a club.  The man’s fist

smashed the boy’s flittered face, like my glittered face dancing

 

at the gay bar every weekend, waiting for my dark shadow

to appear, my messenger of death to jump out shouting

faggot over and over again until it sounds like gibberish, not even

 

a real word, meaning a bundle of sticks bound together and used

as fuel.  The media will ask: what did this gay boy do

to deserve such a beating?  Because he must have done something,

 

and even I, in all my gayness and liberalism, will wonder if he called

out to the guy in a drunken come-on or if he provoked

him by acting extra faggy, by pushing all the buttons of petrified

 

heterosexual males, who only know the power of fists, sticks,

stones, not even guns, unless used backward, barrel

to face.  Danger runs in our gay blood.  Blood that makes me writer

 

letters, sprayed with cologne, to a man in prison, a man who beat

an elderly couple, fractured their skulls not once,

but three times.  A man with broad shoulders, muscled arms,

 

a chiseled chest.  A man who makes me hard because he could kill

me, could take my life and end it.  It’s the same blood

that got Matthew in that truck with those two boys, the blood that

 

later ran down his face while coyotes howled in the distance,

and it’s the blood of Capote in Perry’s cell, cold blood

that’s seen men carried away in paddy wagons, hands over faces,

 

men who’ve felt the thrust of nightsticks in stomachs or ropes

around necks.  It’s the blood in my veins that makes me

write fag on my arm in neon green body paint and go out searching

 

the streets for men who can’t control their fascination wtih boys

whose bodies scream: you wanna kill me, don’t you.

Fearless boys with glitter in their blood.