Piccola riflessione socio-psicologica sul referendum costituzionale (non sul merito.. ma forse sul metodo).
Ho notato, e così riportano tutte le ricerche e le statistiche lette fino ad ora, che la maggior parte dei giovani voterà NO a questo referendum.. e questo è qualcosa di molto singolare.
Questa riflessione che vado a fare non è sul merito della proposta costituzionale, ma è incentrata sulle dinamiche relazionali tra l’elettore e lo Stato che gli dà udienza e gli permette (in maniera diretta e non mediata) di esprimersi e, anche non cambiando, di cambiare qualcosa!
I giovani solitamente si esprimono per il cambiamento, per la rivoluzione dello stato delle cose, mentre questa volta si esprimono per il mantenimento delle cose così come stanno.
È chiaro che il “cambiamento” non è di per sé buono o cattivo e che in ogni situazione debba essere analizzato e riconsiderato, ma un crescendo hegeliano tesi/antitesi/sintesi è stato sempre alla base dei “progressi” storici; in questo caso ci troviamo paradossalmente in una situazione nella quale gli elettori più giovani “figli” si troveranno a sostenere la tesi dei vecchi “padri”.
Questa riflessione che faccio non è sul merito della riforma costituzionale
Ma partiamo ora da un altro punto di vista.. dal punto di vista dell’elettorato “contro”.
Solitamente… “contro qualcosa” si esprimono i gruppi che stanno peggio, i gruppi che, analizzando la propria condizione, la sentono caratterizzata da un forte disagio e si esprimono per buttare giù il “potere di turno”.. con ogni mezzo disponibile. E credo sia questo uno dei motivi di questa trendenza a votare NO da parte di un elettorato che si trova in grande difficoltà di crescita e con grandi dubbi sul proprio futuro sempre più incerto. Le criticità ed i difetti di un sistema parlamentare che da decenni chiede di essere rivisto e ristrutturato vengono ora dimenticati, accantonati, messi da parte e sacrificati sull’altare dell’incertezza e del timore del cambiamento tout court! La stessa paura che, in situazioni di grave sofferenza, ci blocca perché temiamo di potere soffrire di più, di poter stare solo peggio.
L’altro giorno mi stavo malamente confrontando con un ragazzo sotto i trent’anni sul tema del referendum e mi è stato detto “Ah beh per voi è facile.. per voi che avete il culo al caldo!”.. a parte l’ignorante insolenza e la superficialità di questa espressione, questa nota mi ha fatto chiaramente capire che, abbandonato il raziocinio sulla base del quale ci eravamo confrontati fino a quel momento, chi stava dall’altra parte metteva la propria insicurezza dell’oggi come punto fondamentale da cui partire per (non)ragionare sul referendum, al punto che non ragionava più sulla riforma in sé, ma su tante tante altre cose: certamente importanti, ma non strettamente inerenti al quesito referendario. Nelle sue parole ho avvertito paura.. ho avvertito la paura per un mondo che, già brutto, potrebbe solo diventare peggiore.. e sebbene le nostre idee sul referendum fossero diametralmente opposte, mi sento di capirlo, di capirlo profondamente.
Ancora una volta, è la paura che guida tanti nostri “ragionamenti”: la paura del diverso, come la paura dello straniero e come, in questo caso, la paura del cambiamento.
“Quando parliamo di paura, è importante distinguere la paura reale da quella emozionale ed oggi, quando proviamo paura, il più delle volte non è paura reale, ma emozionale, oppure è paura reale fortemente condizionata da quella emozionale. A causa di quest’ultima, oggi, quando ci imbattiamo in quello che a tutti gli effetti ci sembra essere una minaccia, ci risulta difficile distinguere tra ciò che è reale e ciò che è immaginario. E, sempre a causa della paura emozionale, non riusciamo neppure ad affrontare queste situazioni in modo appropriato rimanendo centrati e con i piedi per terra.” (Krishnananda Amana, A tu per tu con la paura)